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LE CHIESE RUPESTRI DELLA CITTA' DI ANDRIA
a cura di Saccotelli Nunzia.
Lo sviluppo del monachesimo nell'Italia meridionale. La storia e lo sviluppo delle chiese rupestri rientra in un complesso fenomeno di insediamenti monacali nell'Italia meridionale, in particolare nelle Puglie anche se gli studi effettuati da un punto di vista scientifico, non sono riusciti a definire chiaramente un quadro dello sviluppo di questi avvenimenti storici; infatti si ignora la natura e l'estensione del monachesimo greco in Sicilia fino al IX secolo, per mancanza di fonti. E' lecito fare delle domande, come fa uno dei più illustri bizantinologi: A. Guillou, su una possibile localizzazione sul territorio delle principali istituzioni greche durante il periodo del monachesimo. In realtà si è convinti che il monastero costituisce un elemento essenziale di riferimento per la popolazione; in particolare nelle Puglie le ricerche archeologiche hanno permesso di conoscere habitat monastici o luoghi di culto tra Lecce e Brindisi e tra Monopoli ed Andria. Sebbene nessuno di questi sia databile, sono interessanti alcune direttrici di sviluppo del monachesimo nell'Italia meridionale. Sempre nel materano "dallo studio delle chiese e dei cenobi rupestri si evince che gli insediamenti monastici degli stessi ebbero due radici, una benedettina e l'altra basiliana, le quali, in tempi quasi vicini si svilupparono favoriti dalla struttura geografica del territorio". A tal proposito occorre precisare che la locuzione "cripte eremitiche basiliane": abituro isolato dove un monaco basiliano avrebbe trascorso la sua vita da eremita, è sostanzialmente erroneo. San Basilio non solo non fondò ordini monastici ma, anzi, esercitò un'accurata opposizione alla vita eremitica; per cui anche se si ammettesse, per absurdum, l'ipotesi di monaci basiliani, questi non sarebbero stati eremiti. La denominazione di "basiliana" deve essere interpretata come monastico orientale. A riprova di questa interpretazione è possibile affermare che "una penetrazione massiccia dei Benedettini si ebbe nella seconda metà dell'XI secolo". Le circostanze erano particolarmente favorevoli. Tre papi benedettini si successero a capo della cristianità: GREGORIO VII (1073 – 1085); VITTORE III (1086 –1087 ), il celebre Desiderio, promotore della nuova politica papale di riavvicinamento ai Normanni e infine URBANO II.
In questo clima di vicendevole simpatia tra "Stato" e Chiesa, i Normanni, diventati i nuovi "padroni" della politica, favorirono la diffusione degli insediamenti dei Benedettini. Costoro costruirono i loro monasteri in ogni paese della Puglia tra il secolo XI e quello successivo. In questa fluidicante compresenza "gomito a gomito" fra monaci benedettini e basiliani, i cui confini da indagare sono labili tracce in una "preistoria difficile da afferrare", per dirla con A. Guillou, è possibile dire che i monasteri non erano di grandi dimensioni. A questo punto bisogna chiedersi se queste comunità monastiche fossero benedettine. E' doveroso precisare che mancava ancora il concetto di ordinamento monastico inteso come "regola"; i monasteri godevano di un clima di libertà, di un pluralismo di forme che sarà eliminato solo all'epoca del Concilio Lateranense IV del 1215. Fino a questa data era riconosciuta ad ogni comunità la facoltà di fissare un proprio modus vivendi senza vincoli esterni. Ipotesi di insediamenti di monaci basiliani sono state avanzate pur nella scarsità di documentazioni da storici locali in conseguenza di quel vasto processo di ellenizzazione dei territori pugliesi da parte di Bisanzio dove nel X secolo il movimento monastico greco dei basiliani si sviluppò soprattutto in Italia meridionale, anche se non è da escludere la presenza dei basiliani in Puglia prima dell'ultimo trentennio del secolo con la riordinazione dei territori bizantini nell'Italia meridionale. Pertanto, la collocazione cronologica degli insediamenti monacali nelle Puglie è da porsi tra il secolo X e XI. In questo caso è possibile affermare che i continui afflussi ascetici non iniziavano anzi concludevano il plurisecolare processo di ellenizzazione d'Italia. A conferma di questa espansione la cripta-chiesa di Santa Croce, di Santa Maria dei Miracoli, di Gesù di Misericordia e della Madonna dell'Altomare rappresentano episodi salienti di tale fenomeno.
Chiesa rupestre di Santa Croce. Merita maggiore considerazione la cripta di Santa Croce che prende il nome dal Santo Legno della Croce ritrovato dalla madre di Costantino, Elena, secondo una leggenda tramandataci. La cripta è ubicata in una zona la cui natura del terreno è prevalentemente tufacea e presenta grosse cavità naturali che derivano dal dilavamento di acque meteoriche. La cripta di S. Croce è particolarmente importante perché in questa zona ebbe inizio da parte dei monaci la costruzione della cripta – chiesa ottenuta scavando il tufo a partire "dalla strada e dal sito più agevole". L'esterno è costituito da una originaria parte scavata nella roccia tufacea alla quale è stato aggiunto un avancorpo murario in blocchi adiacente ad un altro, anch'esso in tufo.
L'interno è di "forma basilicale, a tre navate sorrette da quattro pilastri naturali e chiuse da una quarta navatina trasversale". L'altare sorgeva nel mezzo di questa e dietro ad esso si prolungava la navata longitudinale mediana con un'abside semicircolare.
La volta, ricavata dallo scavo nel masso, è sorretta da quattro pilastri in tufo di forma trapezoidale. Notevole importanza assume l'insieme degli affreschi superstiti. Essi sembrano essere stati dipinti in maniera organica secondo un preciso programma iconografico e si notano in alcune parti fino a tre strati di intonaco sovrapposto, che dovevano far parte di una decorazione estendentesi per tutta la totalità della superficie tufacea. Analizzando i principali affreschi, possiamo apprezzare un linguaggio bizantino espresso da un Cristo Crocifisso con la Vergine, da S. Giovanni Evangelista e dalla Maddalena protesa verso terra. E' possibile notare ai lati dell'arco di accesso alla cripta, resti di "una Annunciazione" con un Arcangelo a sinistra e dall'altro lato, la Vergine Maria "dalle braccia incrociate ed il manto, originariamente azzurro; verso l'interno due raffigurazioni di Santi: Santa Dorotea e San Leonardo di Noblac, quest'ultimo ritratto in atteggiamenti tipici della cultura bizantina. Il santo raffigurato sul pilastro, San Leonardo ricorre frequentemente negli affreschi, in quanto particolarmente caro alla famiglia di Francesco II del Balzo.
Sulla facciata del secondo pilastro appare una rappresentazione pittorica di notevole interesse, utile per la decorazione degli stessi. Un pontefice dalla testa nimbata siede frontalmente in modo ieratico su di un trono scorciato: come San Leonardo, porta in capo il triregno e veste un ampio manto, benedice con la destra e tiene nell'altra mano un calice allungato a forma di navicella contenente due teste mozze; le increspature suggeriscono nei delicati effetti chiaroscurali, la posizione delle gambe che disarticolano la posizione frontale del pontefice. Si tratta del Beato Papa Urbano V, rappresentato con le teste dei santi Pietro e Paolo. E' singolare come l'immagine del pontefice sia posta frontalmente a due registri di affreschi con scene a carattere narrativo. Nel registro superiore appare Sant'Elena nimbata con corona regale; nell'altro la Santa che assiste alla tortura di Giuda. Maggiormente rovinati i due riquadri inferiori, rappresentanti l'uno sant'Elena che assiste al ritrovamento miracoloso della "VERA CROCE" e l'altro, l'imperatore Costantino e sua madre Elena che adorano la Croce.
Giunti nella navata destra, in una fascia decorata posta sopra l'arco che incornicia l'abside si apprezzano un Cristo barbato e dentro cornici in forme antropomorfe, tutti ritratti a mezzobusto.
La parete di fondo presenta una scena di "Crocifissione" simile a quella d'ingresso. Sull'intradosso dell'arco posto tra la navata destra e quella centrale, una ulteriore fascia decorativa raffigurante Pontefici e Vescovi in quattro tondi romboidali i quattro Evangelisti.
Interessanti le decorazioni della quattro scene evangeliche raffigurate sull'arco trionfale: la "Lavanda dei piedi", "l'Ultima Cena" a destra, i resti di "un'Annunciazione" a sinistra e la "Crocifissione" a destra. Gli affreschi che decorano l'intradosso dell'arco tra la navata centrale e quella di sinistra sono i più noti e significativi della cripta; essi rappresentano due scene veterotestamentarie: la Creazione di Eva e il Peccato Originale. La decorazione nell'abside è completata dalla figura di San Francesco e la Madonna della Misericordia.
La Chiesa rupestre di Cristo Misericordia si trova sulla via per il Santuario della Madonna dei Miracoli. E' incavata nel muro tufaceo, a guisa di catacomba e prende il nome dall'affresco a muro che ha per soggetto Gesù detto di "Misericordia".
La chiesa rupestre di Gesù della Misericordia tra Storia e Arte
La chiesa rupestre di "Gesù della Misericordia" risale, con la sua struttura tufacea, ai secc. IX-XI, qualche tempo dopo che i monaci basiliani, alcuni fuggiti dall'Impero di Bisanzio per la lotta iconoclastica condotta dall'imperatore Leone III l'Isaurico, altri trasferitisi per spontanea espansione nei territori bizantini dell'Occidente, si stanziarono in parte in Grecia sul monte Athos, in parte nel meridione d'Italia, fino in Puglia.
Andria fu una delle mete più importanti di quell'Ordine monastico; infatti, oltre a quella di "Gesù della Misericordia", annoveriamo sul nostro territorio le chiese rupestri di S. Sofia (l'attuale S. Maria dell'Altomare), di S. Vito (dov'è la chiesa della Madonna del Carmine), di S. Angelo in Gurgo (presso cui è il Santuario del SS. Salvatore), di S. Margherita in lama (su cui è costruita la Basilica di S. Maria dei Miracoli), con al centro la laura-chiesa di S. Croce. Era, appunto, nel costume dei Basiliani utilizzare grotte carsiche o scavarsi in banchi tufacei delle celle, per condurre una vita anacoretica (solitaria, o di pochi frati) fatta di preghiera, non disdegnando incontri di carattere dei critici, in un arco di tempo che va dal sec. XI d.C. in poi. A nostro parere, l'affresco della Crocifissione nella laura di "Gesù della Misericordia" risente dei moduli pittorici di transizione tra l'arte bizantina e quella gotica, e cioè della fase pre-giottesca con esiti post-rinascimentali. La laura, andati via i Basiliani, fu trasformata in chiesetta per la comunità rurale, residente fuori le mura della città.
Caratteristici il fiotto di sangue dal costato destro, le gocce di sangue sparse per tutto il corpo e la cornice ad arco, bicolore (rosso e giallo) in cui è inquadrata tutta la narrazione pittorica, molto simili alle due Crocifissioni affrescate nella laura di S.Croce.
La parte centrale era stata sconsideratamente riquadrata, forse nel secolo scorso, con una modesta cornice lignea, per utilizzarla come pala d'altare.
Alla destra della Crocifissione su una nicchia, che ne comprende un'altra, utilizzata oggi come porta-candelieri, è dipinta la Vergine col Bambino poppante, anch'essa di fattura post-rinascimentale, che la restauratrice Dicorato fa risalire al sec. XIX. Da segnalare in una nicchia sulla parete della navata un gruppo professionale ligneo della Crocifissione con l'Addolorata e S. Giovanni Evangelista.
La chiesetta in un primo momento doveva comprendere lo spazio che intercorre tra l'affresco ed il secondo arco, pari ai due terzi della navata. Non si sa quando essa fu allungata allo stato attuale, ma probabilmente dal Vescovo di Andria mons. Giambattista Bolognese nei primi decenni dell'800, il quale l'aveva destinata agli esercizi spirituali dei seminaristi. Alla sua morte la chiesetta fu abbandonata, mentre le stanze ad essa adiacenti sembra siano state utilizzate per l'autopsia dei morti uccisi o per disgrazia. Nel 1866 la chiesetta fu restaurata per interessamento del cappellano can. Don Raffaele Tota, e forse in quella occasione si operò la riduzione dell'affresco, per posizionare l'altare maggiore. Ancora nei primi decenni del nostro secolo la chiesetta rimase aperta al culto, forse fino dopo la 2^ guerra mondiale, e poi abbandonata. A conclusione della visita non si dimentichi di guardare all'esterno il caratteristico piccolo campanile a vela, di stile baroccheggiante, a due ripiani: nell'inferiore una campana, nel superiore una rozza statuetta del Cristo.
Pietro Petrarolo. Il testo è stato stralciato da "La laura di Gesù della Misericordia e i suoi affreschi" a cura dei LIONS-CLUB Andria Castel del Monte Costanza d'Aragona - 1996.
Chiesa rupestre di S. Margherita . La più antica chiesa rupestre presente in territorio di Andria è quella dedicata a S. Margherita (IX – X sec.); prende il nome, infatti, da una immagine della Santa che si trovava nella prima grotta dalla quale si accedeva al complesso ipogeo. Nel 1576 a seguito del ritrovamento, in una grotta più interna, di una immagine della Vergine col Bambino e dei numerosi miracoli ad essa attribuiti, assunse il nome di "Madonna dei Miracoli" con Bolla Papale del 1580. Le diverse grotte esistenti furono fuse in un'unica cavità a sua volta inglobata in un Santuario articolato su tre livelli.
Nella grotta attuale, l'immagine della Madonna col Bambino è collocata al centro della parete frontale. Ritenuta di stile bizantino del X secolo, secondo recenti ricerche, essa è da far risalire a non prima del XIII secolo. L'immagine sovrasta un altare con antistante tempietto in marmo policromo intarsiato. Il cielo del tempietto è in lamine d'argento, rappresenta un campo stellato con al centro una colomba,: raffigurazione dello Spirito Santo, abbellito da tre ordini di raggiera. Il tempietto fu costruito nel 1886 da Francesco II, ex re delle due Sicilie, per adempiere ad un voto fatto dal padre Ferdinando II di Borbone, durante una sua visita al Santuario. A destra del tempietto si trova l'immagine di Santa Margherita, purtroppo molto danneggiata, che ha dato il nome alla lama ed alla laura. Sulla parete di destra della laura si trova un ciclo pittorico che rappresenta la Vergine che allatta il Bambino, gravemente danneggiata negli anni '60, e S. Nicola di Myra con storie della sua vita ritratte in sei quadri. Recentemente restaurato, questo complesso pittorico, assieme all'immagine di S. Margherita si presenta più antico e di miglior fattura dell'immagine della Madonna col Bambino.
La facciata della laura, in pietra calcarea dipinta, risale alla fine del XVI secolo. Riporta bassorilievi con scene del Vecchio Testamento (Dio) e del Nuovo (Gesù a destra di Dio). In alto un momento dell'Annunciazione e ancora più in alto sono appena visibili due affreschi seicenteschi. Al centro un'epigrafe, mutila della parte centrale, ricorda l'invenzione dell'immagine sacra.
Rivestita di stucchi nel 1849, la facciata fu "liberata" durante i lavori di retauro del 1911 e mostra tutt'oggi le manomissioni apportate nel 1849.
Bibliografia:
Pietro Petrarolo, "Il Santuario di Santa Maria dei Miracoli" - Andria 1996.
"Santa Croce in Andria". A cura della Regione Puglia Assessorato P.I. e Cultura, centro culturale distrettuale di Andria.
Brescia Giuseppe. "Alla riscoperta di Santa Croce. Chiesa rupestre con cripta".
Liceo Ginnasio "Carlo Troya" di Andria.
A. Lomuscio, R. Losito, B. Miscioscia, N. Moltepulciano, V. Zito.
"La lama di S. Margherita e il Santuario della Madonna dei Miracoli".
"Andria Itinerario storico culturale". A cura della Pro Loco con il patrocinio del comune.
Prof. Pietro Petrarolo. "Andria dalle origini ai tempi nostri". Sveva editrice.
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